Nextdoor, un social per le comunità di quartiere
Nato nel 2011 a San Francisco, alle porte della Silicon Valley, il network è oggi presente in Usa, Canada, Australia ed Europa. Oltre che nelle principali città italiane, dove appare ben radicato
 
									
														
						di Pietro Castagna
“Costruire dei legami stabili nel mondo reale è un bisogno umano universale. Questa verità, unita alla consapevolezza che i quartieri sono tra le comunità più importanti della nostra vita, sono stati i nostri principi guida fin dall’inizio”. Parlando di social media sembrerebbe un’eresia. Invece queste poche parole fanno parte del Manifesto di Nextdoor e provengono dalla mission pubblicata nel sito aziendale. Il social nacque a San Francisco quasi nove anni fa per iniziativa di Nirav Tolia, Prakash Janakiraman, Sarah Leary e David Wiesen. Superate alcune difficoltà che caratterizzarono i primi anni della sua vita - e che risalivano al rischio di profilazione razziale della propria utenza - Nextdoor si diffonde negli Stati Uniti e arriva anche in Europa - precisamente in Regno Unito, Paesi Bassi, Francia, Germania, Italia, Spagna, Danimarca, Svezia – in Australia e in Canada. Oggi, utilizzando l’unità di misurazione di cui il social in qualche modo si è appropriato per contaminazione filosofica di approccio, cioè il quartiere, questa realtà è presente in circa 270.000 comunità di vicinato. In Italia c’è da due anni e vanta un tasso di penetrazione elevatissimo in tutte le grandi città del nostro Paese: Roma, Torino, Bologna, Firenze e Milano, per citare qualche esempio.
Un mondo da scoprire, con sobrietà
La sede della società, che pare stia preparandosi alla quotazione in Borsa, continua a essere San Francisco, da cui operano non più di un centinaio di addetti. Fra i maggiori finanziatori di Nextdoor figurano molti nomi illustri, fra cui spiccano Benchmark, Shasta Ventures, Greylock Partners, Kleiner Perkins, Riverwood, Capital, Bond, Axel Springer, Comcast Ventures. Mentre una parte significativa dei ricavi dell’azienda deriva dalla pubblicità locale. Un mondo difficile e disarticolato, quello della locale, che molti editori italiani conoscono bene. E da cui, potendo, restano volentieri alla larga. Per diventare un utente di Nextdoor bisogna anzitutto dimostrare di vivere davvero nel quartiere presso la cui rete ci si intende iscrivere. Dopo di che si può operare, previa registrazione della propria identità personale - che deve tassativamente essere quella vera - e del proprio indirizzo. La privacy è tutelata da un meccanismo molto semplice e diretto: solo gli altri membri della nostra stessa comunità di vicinato hanno accesso ai nostri dati e possono interagire con noi. Le attività commerciali, i professionisti, gli artigiani che vivono nel quartiere di riferimento possono aprire una pagina e promuovere i loro servizi, dando risonanza alla propria attività e creando legami più diretti con i clienti anche attraverso il social. In un mondo in cui i network più diffusi offrono soprattutto il paradigma di una piatta vastità, mostrandosi perfettamente in sintonia con le leggi che governano la globalizzazione e la presenza pervasiva – ovunque nel mondo – dello stesso manipolo di brand multinazionali, Nextdoor punta con forza sul lato in ombra dei valori locali a livello relazionale, sociale, economico. E lo fa proponendo modi di fare, linguaggi e una netiquette improntati alla sobrietà: le conversazioni in chat non sono popolate da faccine, cuoricini e sciocche animazioni, di solito ci si saluta senza fronzoli infantili e ci si ringrazia.

Il co-founder Nirav Tolia
E Facebook ci prova
Con la pandemia, poi, Nextdoor ha svolto una funzione molto importante, facilitando i contatti di vicinato e mobilitando azioni di solidarietà a supporto di persone e gruppi in forte difficoltà. Un modello che non può non riscuotere simpatia, anche perché è basato sulla necessità di riscoprire la dimensione sociale e umana insita nel contesto reale, analogico, in cui siamo inseriti. Non è certo un caso che Facebook, in Canada, stia testando la fattibilità di una funzione analoga, che ha chiamato senza troppi sforzi di fantasia Neighborhoods. Il concetto di fondo alla base della nuova funzionalità che potrebbe essere adottata dalla piattaforma creata da Mark Zuckerberg è sostanzialmente lo stesso di Nextdoor, con una sola differenza. Mentre Facebook Neighborhoods propone automaticamente a ciascun utente i gruppi in cui potrebbe inserirsi in base a criteri di geolocalizzazione, Nextdoor utilizza la propria rete di amministratori, ovvero persone effettivamente inserite nelle comunità locali nelle quali operano. Cosa accadrà è difficile immaginarlo. Probabilmente, dopo la fase di studio, una competizione accanita, almeno su alcuni mercati. Un dato confortante, che lascia intravedere – o quanto meno immaginare – anche nel mondo dei social la riproposizione del braccio di ferro fra Davide e Golia, certamente più rassicurante dello scontro titanico fra Supereroi che combattono, o si alleano, per il dominio planetario.
 
        