Con Blis la geolocalizzazione ha un nuovo senso
La società inglese, che possiede una DSP e una DMP, aggancia i dati ricavati dalla posizione degli utenti alle ssp, sfruttando, poi, i formati terzi off-shelf per costruire una whitelist di siti, mercato per mercato, e creare campagne. Annunciato un round da 25 milioni di dollari, tra gli investitori c’è la multinazionale Unilever
I dati sono la nuova moneta. Una frase ricorrente, ma quanto mai attuale. Informazioni socio-demografiche, passioni, preferenze e attività frequenti degli utenti diventano merce preziosa per gli advertiser che vogliono recapitare il messaggio giusto al target perfetto. Ancora meglio se la lente riesce a individuare, tra tutto il cluster, la persona interessata all’articolo. La traduzione della location in dato strategico è sempre stata una sfida delicata per i marketer, spesso incagliati sugli scogli della privacy, dell’incerta efficacia dell’instant marketing e della volatile attitudine dell’utenza al geotagging “ricompensato”.
Tutto nasce a Londra, dodici anni fa
Blis, location data company con base a Londra, nata dodici anni fa e già attiva nel campo del bluetooth marketing, ha reinterpretato la funzione della “posizione”, trasformandola in un parametro per interpretare se la passione di un utente diventa un’attività pratica. Ad esempio, se un appassionato di calcio, durante la settimana, va anche al campetto a farsi una partita con gli amici. Una bella differenza nel caso in cui il brand che entra in possesso dei dati vende scarpe da gioco.
Data crawling in Uk
«Sei anni fa abbiamo costruito una dsp iniziando a fare data crawling in Uk, e successivamente le abbiamo affiancato una dmp. Ci siamo trovati ad avere a disposizione queste due tecnologie prima che esplodesse il mercato programmatico. E con la sua espansione abbiamo potuto agganciare le informazioni sulle location alle ssp, scalando, quindi, in tutto il mondo» spiega Gaetano Faleo, head of international sales di Blis. L’importanza della location è fondamentale perché se da un contenuto si definisce un utente, dalla location si può ricavare anche il contesto in cui agisce. Faleo si esprime con molta chiarezza quando si tratta di diradare gli eventuali dubbi relativi alle richieste di “accendere” la posizione: «Abbiamo stipulato partnership con alcune delle top cinquanta app che passano la location. Loro chiedono all’utente il permesso di raccogliere questi dati al momento dell’installazione e noi riusciamo, quindi, a ricavare facilmente device ID e geo tracking di ognuno di questi dispositivi». Google Maps, Street Maps e Google Places offrono, poi, un supporto importante per interpretare, attraverso un plug-in, le informazioni geografiche, associandole a negozi, attività, centri sportivi e così via. «Ma da questi dati riusciamo a capire anche età, sesso e così via, attraverso le historical location, ovvero i posti più frequentati» continua Faleo.
A quali attività di marketing date vita attraverso questa tecnologia?
«Utilizziamo la location geolocalizzando un luogo, un utente e inviando una ad. Facciamo proximity marketing online, via browser, utilizzando i nostri dati per costruire la strategie. Le mettiamo in pratica, poi, attingendo a formati terzi off-shelf e costruendo una whitelist di siti mercato per mercato. L’audience è più importante delle inventory. Avere un network di publisher o dei formati ci porrebbe dei limiti: la nostra offerta prende il meglio in modalità plug and play, e lo rende ancora più forte grazie alla potenza del dato. È quella che fa la differenza».
Qual è il vero vantaggio per un brand che sceglie la vostra proposta?
«Invece di targettizzare una persona in proximity e raggiungerla in real time, abbiamo pensato a qualcosa di diverso. Perché abbiamo rintracciato un limite nel mercato. Quando un utente viene inserito in un target attraverso i dati che esprime interagendo con i contenuti, si riesce solo a capire se quest’ultimo è un lettore di un sito o meno, qual è il suo comportamento online, cosa gli piace e di cosa si interessa. Facciamo l’esempio di un appassionato di calcio: se un brand che vuole vendere scarpe da calcio dovesse riconoscere questo utente su un sito sportivo, potrebbe trattarsi di un tifoso che ama guardare le partite e leggere della sua squadra o di un potenziale giocatore. Se questo brand inviasse la sua inserzione a entrambi perderebbe la metà dell’investimento. Se, invece, sapesse che ogni mercoledì sera l’utente in questione è localizzato per un’ora al campetto, allora è potenzialmente un acquirente e il brand ottimizzerebbe i suoi investimenti. Inoltre, siamo in grado di utilizzare l’historical location per fare smart targeting, considerando anche i luoghi frequentati in passato».
Quali obiettivi strategici riuscite a raggiungere?
«Le campagne che riusciamo a consegnare sono molto varie, anche a livello di obiettivi. Siamo orientati alle performance, ma utilizziamo approcci diversi: possiamo operare live per portare l’utente in un negozio o a un evento, ma possiamo anche condurre l’utente all’acquisto, misurando, poi, l’instore traffic e l’uplift, ovvero quante volte è tornato in negozio o l’aumento delle vendite, ad esempio, di un punto vendita di una catena di gdo».
Si parla tanto di cross device. Offrite campagne di questo tipo?
«Riusciamo a riconoscere l’utente su più device grazie a una tecnologia che individua i dispositivi connessi alla stessa rete wifi. Siamo in grado, attraverso i behaviour, di capire se un device è condiviso. Come per esempio il tablet di casa, utilizzato da mamma, papà e figli. In quel caso ci basiamo su un targeting definito sui contenuti per capire a chi ci stiamo rivolgendo».
Avete lavorato sul campo italiano?
«Giriamo campagne internazionali in tutta la regione Emea, e l’Italia ne è spesso coinvolta. È una nazione molto ricettiva a livello di targeting e dati, e dopo Uk e Francia la più sviluppata su mobile».
Un guidizio sulla prima parte del 2016 per la vostra società?
«Abbiamo effettuato il rebranding, da Blis Media a Blis, pochi mesi fa. Nello stesso periodo abbiamo annunciato un round di finanziamento da 25 milioni di dollari, a cui ha partecipato anche Unilever, e abbiamo aperto una sede a New York».