Ad fraud: il Financial Times vittima di “domain spoofing”, sei note aziende del mondo ad tech coinvolte
L’editore ha scoperto che spazi pubblicitari contraffatti sono stati venduti a suo nome da alcuni dei maggiori ad exchange sul mercato, raggirati con l’inganno. Ora è caccia ai truffatori e si cercano le migliori soluzioni al delicato problema
A quanto pare non c’è un solo Financial Times a spacciarsi per quello originale in rete. L’FT ha accertato che una serie di aziende di tecnologia pubblicitaria hanno offerto spazi pubblicitari contraffatti o “spoofed” nell’ad space dell’FT. Alcuni ad exchange, infatti, hanno venduto numerosi spazi in programmatic nella fantomatica inventory video di FT.com che, però, non possiede alcuna inventory video.
Il problema del domain spoofing
La tendenza è chiara e ha un nome: domain spoofing. Gli attori di questa pratica camuffano intenzionalmente la natura dello spazio pubblicitario che stanno vendendo. Tale inventario viene reso disponibile attraverso mercati automatizzati gestiti da società ad tech molto note. Alla fine, un marketer potrebbe credere di pagare per gli annunci su FT.com, ma i suoi annunci possono effettivamente apparire su altri siti con contenuti discutibili e proprietà sconosciuta. Il publisher, venuto a conoscenza della tattica fraudolenta, ha deciso di controllare se anche il suo sito ne fosse vittima. E da lì la scoperta, alcuni dei principali operatori del settore non sono ancora in grado di prevenire il problema.
Le aziende coinvolte
L’editore, infatti, ha recentemente inviato comunicazione riguardo all’accaduto ad almeno sei aziende che ritiene abbiano offerto finti spazi pubblicitari FT, tra cui Oath di Verizon, AppNexus, PubMatic, Teads, SpotX, FreeWheel. La pratica danneggia gli inserzionisti da un lato, che potrebbero anche pagare un sovrapprezzo per pubblicizzare su specifici siti e poi in realtà far girare i loro messaggi nei posti sbagliati. Gli editori dall’altro che temono di perdere grosse fette di introiti che andrebbero ad accrescere le tasche dei truffatori con la crescita del fenomeno. Nel caso del Financial Times, l’entità delle sue perdite potenziali non è chiara, poiché l’editore non è stato in grado di determinare quanto dell’inventario degli annunci “spoofed” disponibile sui vari mercati degli annunci sia stato effettivamente venduto ai marketer. L’azienda ha stimato, però, che circa 1,3 milioni di dollari di spazi pubblicitario di FT. com è venduto ogni mese in modo fraudolento. In una dichiarazione, un portavoce di Oath ha assicurato che la società ha rimosso l’inventario problematico dai suoi sistemi non appena è stato avvertito da FT. La portavoce ha aggiunto che l’azienda ha già in atto da tempo processi per impedire il domain spoofing sulla sua piattaforma, e di non sapere ancora spiegare perché queste non abbiano avuto effetto nel caso del FT. AppNexus ha spiegato che i truffatori hanno aggirato il loro sistema di disattivazione istantanea vendendo spazi a prezzi più bassi della soglia di allarme. L’azienda ha anche detto che offrirà rimborsi sulle transazioni fraudolente effettivamente concretizzate. Teads ha identificato uno dei partner fraudolenti e ha provveduto immediatamente a bannarlo dal suo marketplace. Tutte le aziende contattate dall’FT hanno chiarito le loro posizioni e si sono dichiarate intenzionate a procedere con misure ancor più restrittive.
La soluzione di IAB per gli editori
Lo spoofing è una delle numerose sfide che affliggono l’industria dell’adv online e minacciano di minare la fiducia dei marketer nei confronti dell’ecosistema digitale. Molti vedono una possibile soluzione nell’iniziativa ads.txt di IAB, un meccanismo per gli ad exchange che li aiuta proprio a distinguere tra inventario legittimo e inventario contraffatto. Oath, AppNexus, PubMatic, Teads e SpotX hanno tutti dichiarato di essere sostenitori dell’iniziativa, anche se la tecnologia deve ancora essere implementata da molti editori. Il Financial Times lo ha implementato lo scorso 10 agosto.